Ischia: una prof racconta

didattica a distanza

Avevo lanciato su Fb l’idea di organizzare un incontro virtuale del gruppo lettura. Un’eccezione alla regola che ci vuole insieme in un locale a discutere di persona, dopo aver spento e lasciato a casa computer, cellulari e tv. Una prof, tra le più attive del gruppo, mi risponde: “no grazie. Sono già troppo stressata dalle videoconferenze scolastiche”. Anche a Ischia, ovviamente, l’attività didattica si è dovuta adattare alla quarantena. Alcune scuole hanno messo in vetrina la loro efficienza tecnologica, secondo quelle modalità aziendali che hanno tragicamente contagiato le istituzioni scolastiche. Ma la didattica a distanza, per quanto necessaria in questo momento di emergenza nazionale,  ha i suoi risvolti negativi, tanto da risultare in certi momenti un ossimoro, una contraddizione. Alla mia amica prof, Annamaria Geladas, avevo chiesto di raccontarmi la sua esperienza. Le sue impressioni mi sono arrivate tramite due post pubblici su FB che qui vi riassumo:

DAD, ovverosia didattica a distanza.

di Annamaria Geladas

“Ragazzi, ci siete?” “Sì, ci sono.” “Sono qui.” “Eccomi, prof.” “Gabriele, non ti vedo” “Prof., non mi funziona la web cam” “Prof. la sento a tratti.” “Chiudete i microfoni, c’è ritorno”.

I loro visi, ogni giorno più pallidi a causa della clausura, fanno capolino nelle venti finestre che sostituiscono i banchi nello schermo del computer. Niente chiacchiere prima della campanella di ingresso ai piedi delle scale della scuola. Niente intervallo con baratti di merende e ” Mi fai dare un morso?”, “Ce l’hai un biscotto?”. Niente bisbigli con il compagno/ a di banco. Niente sguardi languidi al ragazzino o alla ragazzina dell’aula di rimpetto.

È triste la DAD soprattutto a scuola dove il contatto umano, anche sotto forma di litigio, è fondamentale per crescere, per imparare a relazionarsi con gli altri, per capire oltre che per imparare. Il Covid-19 sta sottoponendo a una grande prova la comunità scolastica privata di quella componente importantissima che è la relazione a stretto contatto. I più sacrificati sull’altare della salute di una intera Nazione sono i ragazzi “speciali”, i ragazzi che vanno guidati per mano, che apprendono con le carezze e gli abbracci dei loro insegnanti e dei loro compagni, quelli che sorridono ascoltando il benvenuto del collaboratore scolastico che prende in consegna la carrozzina sostituto delle loro gambe, quelli che parlano con gli occhi, quelli che sembrano assenti, persi nel loro mondo a chi non li conosce, ma che tendono le braccia a chi ha le chiavi del loro cuore e ne interpreta i bisogni e le emozioni.

La DAD è faticosa, stressante, ma noi docenti, bistrattati da una società che ci sminuisce e spesso ci offende, l’abbiamo abbracciata per mantenere vivo il rapporto con la parte migliore del nostro Paese, quella più sacrificata dalla decisione del Governo di chiudere tutto.

Ed ecco che anche quelli più anziani di noi al mattino vanno in onda davanti a una videocamera impietosa con i segni dell’età, vestiti di tutto punto, invitando gli allievi a fare altrettanto per non cadere nella depressione.
E li chiamiamo, invitandoli a intervenire, correggendo, parlando, discutendo, nell’atmosfera quasi surreale di un simulacro di classe dove il più bravo continua a essere il più bravo, il più maturo e responsabile chiede delucidazioni, il più vivace cerca di darsi arie da telecronista.
Così giorno dopo giorno la scuola continua a resistere e a esistere e noi insegnanti continuiamo a svolgere il mestiere più bello del Mondo.”

E in un post successivo Annamaria Geladas continua:

Ho stretti contatti con i miei colleghi di sostegno, un team eccezionale, il fiore all’occhiello della mia scuola, non solo per le competenze professionali ma per l’umanità e l’entusiasmo che mettono nel proprio lavoro.

Se la DAD è una impresa titanica per noi docenti di base, lo è tre volte tanto per loro, soprattutto se l’alunno che seguono fa percorsi personalizzati che richiedono il contatto stretto, strumenti e metodologie alternativi. Ed ecco che ognuno inventa, per così dire un modo, per comunicare con il proprio “pulcino”. Fiabe lette o raccontate con un video perché la voce nota e rassicurante raggiunga proprio chi da un giorno all’altro si è visto privato di un importante contatto con il mondo esterno. Video chiamate mattutine per il consueto saluto. Foto di disegni, lavori, cuori che sul registro elettronico sembrano urlare “Ci siamo anche noi” “Anche noi stiamo continuando a impegnarci”. E ancora il saluto in collegamento con i compagni di classe, il “Come stai? Sto bene”. E poi il video dove c’è chi imbraccia una chitarra e inventa note o scrive in ogni rigo e in rosso il proprio nome. E infine chi, mostrandoci un arcobaleno, ci rassicura con il sorriso più bello del mondo che andrà tutto.

La DAD è anche questa: fare in modo che nessuno resti indietro e che tutti, proprio tutti, restino a bordo e la nostra nave raggiunga il porto.

Un mio pensiero conclusivo: la didattica a distanza oggi è una necessità, ma non può rappresentare la scuola del futuro

Annamaria Geladas, che ringrazio infinitamente, è  un’insegnante di base di Lettere e  Funzione Strumentale per l’Inclusione nell’Istituto  A. Baldino di Barano d’Ischia

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