Se il mare fa paura
Ischia è rimasta isolata per un paio di giorni poco prima di Natale. Lo scirocco, poi il libeccio, poi il ponente hanno fatto sentire forte la loro voce fustigando le nostre coste e creando danni di non poco conto. Turisti che venivano in vacanza o Ischitani che tornavano per le feste in famiglia hanno dovuto fare i conti con il mare in burrasca. Anche l’approvvigionamento di merci dal continente ha subito gravi ritardi con conseguenti disagi per la popolazione. Le corse aliscafi erano tutte sospese, pochi i traghetti che hanno osato sfidare le onde. È uno degli svantaggi di vivere in un’isola, si sente dire in questi casi. Ma è davvero così?
Il mare è una barriera?
Storicamente il mare unisce non divide
Il mare unisce, non divide. Il mare ti permette di scrutare l’orizzonte, di immaginare l’infinito. Il mare storicamente è un punto d’incontro tra i popoli. Il mare ti rispetta, se lo rispetti. In effetti fino a qualche anno fa, avevamo un sistema di trasporti marittimi in grado di affrontare meglio le insidie del mare. Quando ero una giovane studentessa, negli anni ’80, il mare a noi Ischitani non metteva paura. Traghetti e aliscafi erano solidi, le corse erano frequenti, il costo del biglietto accessibile. La Caremar, la compagnia statale, navigava a gonfie vele. Alla fine degli anni ’70 arrivò il Sibilla, il primo traghetto “chiuso”, un’imbarcazione modello, capace di affrontare al meglio la navigazione. Fu poi la volta del Quirino e del Fauno. Viaggiare su quelle navi Caremar era un piacere.
Dagli anni ’80 a oggi
Quando viaggiare tra Napoli e Ischia era un piacere
In quegli anni ’80 per noi studenti il traghetto del lunedì mattina presto era un rito da non perdere. Arrivavo a lezione all’Università intorno alle 9:00 con gli occhi gonfi. Non per il sonno, ma per le risate. Il gruppo di studenti che si ritrovava su quella corsa delle 7:00 era allegro e spensierato. E se anche c’era un po’ di mare, chi ci faceva caso? La Caremar era una garanzia di solidità. Molti studenti rimanevano a Napoli per la settimana, altri erano pendolari giornalieri. In ogni caso tutti noi sapevamo che mattina e sera la Caremar era lì al Molo Beverello ad attenderci.
E poi? Cosa è successo dopo? A partire dal ’95 si è rotto qualcosa. Si è cominciato a parlare di privatizzazione. E così mano a mano il numero delle corse è diminuito, le carrette hanno preso il posto di quei traghetti splendidi. L’unico superstite – il Quirino – oggi in forza a una compagnia privata – è ancora efficiente, ma è ormai vecchio. A fronte di tutto questo, il costo dei biglietti è sensibilmente aumentato. E così oggi siamo al disastro. Basta una sfrenzola di vento e tutti rimangono sulla banchina: turisti, pendolari, gente che ha bisogno di cure o che deve assistere un ammalato in terraferma.
Il mare dunque improvvisamente diventa quello che non dovrebbe essere: una barriera. Mi si dirà che la tempesta prenatalizia è stata terribile e che non esistevano le condizioni per navigare. Scusate, ma non ne sono convinta. Non era un mare per aliscafi. Ma i traghetti solidi di una volta avrebbero potuto affrontare la navigazione.
A questo proposito vi invito a leggere quanto scrissi lo scorso anno in occasione della presentazione del libro di Nicola Lamonica Diritti inquinati.
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