A mia mamma

  • Ischia sta vivendo momenti terribili per la scomparsa improvvisa di persone giovani o meno giovani, ma comunque nel pieno della loro maturità. Nei giorni scorsi ci ha lasciato anche mia mamma, una persona sofferente, alla veneranda età di 99 anni. Voglio raccontarvi un pizzico della sua storia, perché in fondo racchiude un’altra Ischia, quella che non dovremmo mai dimenticare

Un’altra Ischia

Sei stata più al mare?” Me lo chiedevi sempre, anche in inverno, quando magari eri già a letto e un pallido sole faceva capolino nella tua stanza mentre le forze cominciavano ad abbandonarti.
Amavi tanto il mare. Ci raccontavi sempre che da bambina all’orfanotrofio stupivi le tue compagne quando in estate le Monache ogni tanto vi portavano alla spiaggia.  Tu sapevi già nuotare, ti tuffavi senza paura, per la disperazione delle Monache che vi sorvegliavano  L’orfanotrofio: una delle tante esperienze tristi della tua vita. Eppure ce ne raccontavi ridendo quando eravamo seduti intorno a te, sul divano del salone o  in  terrazza. Ci parlavi di episodi comici. In fondo era una tua caratteristica: riuscivi a far diventare comiche perfino le cose più tristi.

Eri capitata lì, in quell’istituto di Aversa perché orfana di guerra. Tuo padre, che ricordavi poco, era morto quando avevi appena 3 anni per le conseguenze di una malattia contratta in trincea. Tua madre era volata via per una polmonite pochi anni dopo. Ma di tua madre ti ricordavi bene. E dicevi sempre con quel  sorriso condito di tristezza: “Quando è morta, la prima cosa che ho pensato è: non posso più dire mamma”. Avevi parenti, come zii e zie: “A me nisciuno me vuleva”, commentavi scrollando le spalle. Ma erano tempi duri, quelli . E così l’esperienza in orfanotrofio durò per anni. A noi che ascoltavamo i tuoi racconti,  rimane nelle orecchie quel ritornello che intonavi con le tue compagne: “Chest’ quatt’ cape ‘e pezza, nun ce danno a’ libertà”.

mia mamma al mareSei tornata a Ischia da  giovinetta –  doveva essere la metà degli anni ’30 –   da  una zia, a Casalauro. E anche qui nei tuoi racconti, era il mare il protagonista assoluto.  Appena potevi,  correvi al mare con le tue amiche per fare grandi nuotate. Vi spingevate talmente a largo da poter salutare i passeggeri di un traghetto che passava. Non avevi paura del mare. E neanche il tuo cane “Bianchino”. Lo lasciavi a casa, chiuso in un gabinetto esterno, come era tipico nelle case di allora.  Ma lui si liberava, correva da te. Correva al mare.

Poi l’incontro con Agostino, che ti ha fatto da marito, da padre, da fratello maggiore. Ti ha dato tutto l’Amore di cui avevi bisogno.
Nel 1960 sono arrivata io, l’ultima dei tuoi figli. Non è stato un rapporto facile il nostro. Spesso non ci siamo capite. Ma oggi che sono mamma, di una cosa sono certa:  i  genitori non capiscono mai i figli.

Ricordo la mia adolescenza scandita dalle tue scenate, dalle tue sgridate, dalle tue paure.  Non capivi il cambiamento di quei tempi, non comprendevi la ribellione degli anni ’70. Tu avevi sempre sopportato, avevi  avuto pazienza.  E quando avevi trovato la felicità dell’Amore, avevi avuto la pazienza di aspettare un marito senza orari, sempre di corsa, immerso nel lavoro.

A me rimane un cruccio: non sono mai riuscita a dirti bugie. Frequentavo gli ambienti dell’estrema sinistra e tu eri spaventata. Ti dicevo esattamente chi frequentavo e cosa facevo. Qualche piccola bugia avrebbe potuto aiutarmi.  Ma io ti sfidavo e tu non me la davi per vinta.    Una sera, quando tornai  a casa, mi chiedesti in tono duro: “Dove sei stata?” e io orgogliosa: “Nella sezione del partito comunista”.  La tua risposta mi lasciò di stucco: “Ah, va bene!”.  Sì, certo, meglio il partito  comunista che quegli altri, quelli che proprio non capivi.

Voglio ricordarti così  per la schiettezza, la spontaneità, la semplicità . Una volta – io ero ragazzina –   una tua amica ti parlò di una sua parente che  stava per partorire e ti disse sicura: “il bambino deve essere maschio!” La tua risposta fu di un’ironia raggelante: “Po’ si è femmina a’ mannamm a’ Nunziata”.
Eri così. Non ti tenevi niente dentro.

Eppure non ti ho mai visto piangere, neanche quando il tuo Agostino è volato via. Le tue lacrime le avevi lasciate tutte lì, in quell’orfanotrofio, quando di notte di nascosto ti asciugavi gli occhi pensando a papà e mamma che ti avevano abbandonato troppo presto.
Forse è per questo che sei volata via  in un giorno di pioggia. Volevi ricordarci quanto sia bello e importante piangere per le persone care che perdiamo, quanto sia terribile oggi per noi non poter più dire “mamma”.

Ciao Mamma. Perdonami per tutte le bugie che non ti ho detto facendoti soffrire.  E soprattutto  perdonami per tutte le volte in cui non sono riuscita a farti sentire quanto ti volessi bene. Una cosa mi conforta. Sono sicura che oggi, dovunque tu sia, troverai un mare immenso per poter nuotare all’infinito.

Tua figlia Laura

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